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«È NEL CUORE DELLA NOTTE, NEL GOLFO, PIÙ O MENO ALLA STESSA ORA IN CUI I CARRI DI SADDAM HUSSEIN AVEVANO VARCATO I CONFINI DEL KUWAIT, CHE SI SCATENA LA DEVASTANTE POTENZA DI FUOCO DELL’ARMATA ACQUARTIERATA NEL DESERTO SAUDITA. ERA COMINCIATA LA “MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE”.» 

Guerra postmoderna, guerra spartiacque, guerra ibrida, guerra-lampo... Questi alcuni degli epiteti attribuiti alla prima guerra del Golfo, che per fama e conseguenze doveva
soppiantare l’altro conflitto, quello precedente, lungo otto anni, che aveva opposto l’Iraq all’Iran khomeinista. Quaranta giorni di bombardamenti e poi cento ore di marcia trionfale nel deserto. La quarta potenza militare del mondo annientata da una coalizione guidata dagli USA di Bush padre, con l’obiettivo di ristabilire l’ordine internazionale violato dalle truppe irachene con l’invasione del Kuwait. Per l’America fu l’occasione di dispiegare la propria superiorità economica, politica, militare e tecnologica, superare la sindrome del Vietnam, reintegrare l’orgoglio per i propri soldati che combattevano una guerra «giusta». E aprire le porte a quello che sembrava essere il secolo americano.